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Tutto inizia con un incendio. Jean si è dimenticato di spegnere il fuoco sotto la pentola. Ne approfitta per dimenticarsi anche la propria vita, abbandonando la casa in fiamme. Attore di serie B, si contenterà di sopravvivere. I pessimi film che gira diventano il suo rifugio, la sua vita una specie di scenografia distante. La finzione cui è costretto per lavoro, l'unica possibile normalità. In questo totale disincanto, Jean conosce France Rivière, un'attrice celebre, che gli offre di andare a vivere a casa sua. E poi il figlio di France, Charles, appena uscito dall'ospedale psichiatrico. Ed è con lui che Jean inizia il suo nuovo percorso, perdendo ancor più le proprie tracce e sprofondando in una strana assenza interiore. Come in molti romanzi e film francesi, in questo acconto che ha il ritmo e l'andatura del noir psicologico, accade che svoltando un angolo ci si ritrovi improvvisamente in un altro mondo che non c'entra niente con il prima, con noi stessi, con la nostra vita di sempre. E occorre entrarci, perché non si può più tornare indietro. Oster, massimo narratore della paranoia e dell'inatteso, ci racconta una deriva, una perdita di sé, il mistero inconciliabile di ogni rinuncia alla vita, e soprattutto ci spiega cosa significa vivere dentro l'assenza quando l'assenza diventa perdita, rarefazione, opacità, impedimento a capire chi e cosa siamo diventati.