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Disposta a tutto, docile, obbediente, paga di considerare lo sposo come un dio e, all'occorrenza, disponibile a farsi umilmente da parte, a favore d'un'altra sposa, se non è in grado di generargli il desideratissimo figlio maschio; pronta a sacrificarsi, anche fisicamente (alludo al tragico rituale dell'(auto)immolamento della vedova, detto sati o, all'inglese, suttee), per mantenere inossidabile l'onore della famiglia e dar prova di incondizionata fedeltà; capace di sopportare l'onta di non essere considerata in grado di fruire dei testi sacri perché "l'intelligenza di un donna sta nei suoi calcagni", come recita un eloquente proverbio bengalese, e soprattutto in quanto considerata possibile fonte (se non capace di stare nei sui ranghi vuoi per nobile, autonoma, scelta, vuoi per l'attentissima custodia del marito) di incontrollabile e spregiudicata lussuria, nonché falsità d'animo, ipocrisia, gretta attenzione per i propri egoistici interessi. Così la donna nell'India antica e classica - ma, in certa misura, oggi ancora.