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Era giovane, bello, forte, ma a soli ventun anni venne spedito nel gulag e la sua carriera venne spezzata. Eduard Streltsov, centravanti della Nazionale sovietica e della Torpedo Mosca, capocannoniere del campionato russo a soli diciotto anni e capace di segnare una tripletta al debutto nell'Urss, era un ragazzo adorato dalle folle, ma aveva un comportamento troppo "occidentale" per il regime comunista: sopra le righe, col vizio dell'alcol e delle donne, sfrontato a tal punto da ripudiare la figlia di un'importante dirigente del Partito. Nel 1958, alla vigilia dei Mondiali di calcio in Svezia, venne coinvolto in una controversa vicenda di stupro e condannato ai lavori forzati. Per cinque anni trasportò tronchi d'albero e trattò l'uranio, poi tornò a giocare e vinse il campionato con la sua Torpedo, ma la sua parabola era stata irrimediabilmente compromessa. A sessant'anni di distanza dal caso-Streltsov, torna in libreria la vera storia del Pelé bianco che l'Urss si negò.