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Case ancora da finire, spazzatura ovunque, auto abbandonate, cavi dell'alta tensione che penzolano dalle finestre di abitazioni improvvisate e nell'aria, per completare il quadro, la "fragranza" delle fogne a cielo aperto. Benvenuti a Fuerte Apache, estrema periferia ovest di Buenos Aires. La rincorsa al grande calcio di Carlitos Tévez inizia proprio da questo barrio infernale, un luogo in cui nessuno vorrebbe trascorrere cinque minuti, figurarsi l'infanzia. Uscito di lì, non si è più fermato: dal Boca, al Brasile, alla Premier League. E qui, prima il West Ham, poi i successi con lo United, il "tradimento" a favore dei Citizens, le liti con Mancini. Tévez non si è fatto mancare nulla, men che meno i gol: di potenza, d'istinto, dopo serpentine ubriacanti oppure da un metro dalla linea di porta. Ora lo attende una sfida impervia e bellissima: essere all'altezza delle aspettative della Signora del calcio italiano. Il suo sbarco sotto la Mole ha infiammato il popolo bianconero come non succedeva da tempo. L'Apache di Buenos Aires è il più grande acquisto della Juventus degli ultimi vent'anni, e non per nulla indossa la sacra maglia numero 10, quella che per vent'anni, appunto, è stata di Alex Del Piero. Ma non solo: Tévez è l'antitesi del calciatore moderno, tutto gel, cerchietti e moda. Cura pochissimo il look, se ne frega dei rapporti con la stampa, il marketing non sa neanche cosa sia. A lui interessa solo vincere e fare gol, a modo suo. Carlito's way. Prefazione di Darwin Pastorin.