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Finita la seconda guerra mondiale, un militare italiano ritorna dalla prigionia nei Lager nazisti, ma è trattato da tutti, se non con indifferenza, come un perdente; su di lui ricade la colpa di aver perso la guerra e, in primo luogo, di essere stati dalla parte sbagliata. Francesco è reduce dell'eccidio di Cefalonia, dei Lager e della marcia della morte, tra Sachsenhausen e Mauthausen, ed è tormentato da continui incubi e immagini tragiche di quelle esperienze, che rendono la sua vita psicologicamente sofferente e instabile. Il padre, che lo ritiene un comunista, lo caccia da casa; gli amici ex partigiani lo umiliano e si prendono gioco di lui, ma un giorno incontra un vagabondo, Ladislao, un anziano nobile ungherese, rovinato dagli avvenimenti della guerra, con il quale nasce una profonda amicizia, e che lo aiuta a riprendersi. Passati alcuni anni, il nobile ungherese gli presenta una sua connazionale, Irene: è amore immediato. Per Irene e Francesco pare andare tutto bene ma nell'autunno del 1956 lei vuole partire alla ricerca di sua madre a Budapest. Senza volerlo si trovano coinvolti nei moti rivoluzionari.