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Negli ultimi anni l'attenzione degli studiosi verso la figura e l'opera di Giamblico è aumentata e si è dato risalto al suo pensiero nella storia della scuola platonica. Un'opera tuttavia rimane ancora poco studiata: il De Anima. Conservata solo in frammenti nell'antologia di Stobeo, essa si rivela centrale per la conoscenza degli sviluppi del platonismo alla fine dell'antichità. Mentre per Plotino l'anima dell'uomo ha in sé un'innata capacità di vivere la vita stessa del mondo intelligibile e la riscoperta nella nostra anima di questa vita intelligibile latente ma reale è il fine della filosofia, per Giamblico e per i platonici che seguiranno le sue dottrine l'anima umana è rinchiusa nel cosmo. Pur essendo una sostanza spirituale e incorruttibile, essa non può elevarsi da sola verso il mondo intelligibile, che rimane al di fuori della sua portata e al quale può giungere solo per l'azione salvifica degli dei. I termini di questo lontano dibattito che appassionò i platonici alla fine dell'antichità ci sono forse estranei, ma le implicazioni per la storia della filosofia sono rilevanti: la descrizione aristotelica dell'anima umana come inevitabilmente legata all'individuo di cui è l'atto vivificatore entrerà da Giamblico in poi a far parte della dottrina delle scuole neoplatoniche. Questo libro offre in primo luogo una ricostruzione accurata della figura di Giamblico, inquadrandola nel contesto storico e culturale che fu il suo, quel IV secolo che fa da spartiacque fra due mondi.