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Nell'aprile del 1932, facendo riferimento a La casa dell'incesto, Anaïs Nin annota nel proprio diario: «Ho scritto le prime due pagine del mio nuovo libro in uno stile surrealista. Sono influenzata da "Transition", da Breton e da Rimbaud, che danno alla mia immaginazione l'opportunità di scorrere liberamente». Testo, in effetti, di natura audacemente sperimentale, sospeso com'è tra il romanzo e la prosa lirica, La casa dell'incesto rappresenta il felice e per molti aspetti irripetibile punto d'incontro tra i due momenti fondamentali dell'ispirazione di Anaïs Nin: da una parte, la ricerca di una totale e potente naturalezza nell'esprimere la vita e l'emozione dei sensi; dall'altra, il proposito di «procedere dal sogno per entrare nel dato sensibile», cioè di immergere l'esperienza onirica nel flusso della vita quotidiana, accostandosi così alle ricerche del gruppo surrealista. Nasce in questo modo quello che è, forse, il libro letterariamente più elaborato e intenso della Nin: un racconto allucinato, «stratosferico», caratterizzato da una prosa sontuosa e musicale, da una ragnatela sottile ma fortissima di immagini e di suoni, «la mia stagione all'inferno», come ebbe a definirlo l'autrice stessa. Con uno scritto di Gunther Stuhlmann.