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"Pura poesia, non poesia pura", così scrisse Attilio Bertolucci a proposito della parola di Michele Baraldi. Mario Luzi ne riconobbe il respiro. Yves Bonnefoy vi vide un esempio di "grande qualità poetica" e Seamus Heaney vi ritrovò l'immagine del suo caro, autentico incidere e scavare la pagina come il padre contadino la dura terra del Nord. In più di un senso questi dodici canti, frutto del lungo e paziente lavoro di un autore che non si è mai troppo preteso né dichiarato poeta, aprono la nostra attenzione alle origini della sua intera officina. Anche il fiume, tuttora in pieno divenire, del suo Libro della memoria e dell'erranza si trova qui raccolto alla fonte, in un paesaggio intimo, familiare, profondamente umano, dove la promessa è mantenuta prima di essere formulata. Quest'opera di frontiera alterna i versi, densissimi, e le prose più lievi e perfino umoristiche in un tessuto di corrispondenze che è tanto poetico quanto musicale: è questo infatti un florilegio che pur ereditando dai lontani, amati trovatori dell'antica Provenza un linguaggio intenso, finemente ritmato e sovente enigmatico, lo reinventa in una partitura di silenzi e di parole che si orienta sempre più verso orizzonti risolutamente moderni. E manifesta, insieme ai temi universali dell'amore e della morte, soggetti incandescenti della storia contemporanea: le odissee dell'emigrazione, l'abbandono e la rinascita di una terra madre, la visione e il sogno dell'Europa, la guerra onnipresente...