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Da oltre dieci anni l'Istituto Nazionale di Valutazione del Sistema Scolastico, INVALSI, grazie a innumerevoli provvedimenti legislativi e al conferimento statutario come Istituto di ricerca di rango pubblico, somministra-prove standardizzate censuarie a tutta la platea scolastica, oggi, con un interesse particolare per la prima infanzia, nell'ottica della precoce validazione delle competenze. Questo attivismo sta schiacciando qualsiasi pratica di valutazione operata dai docenti nell'ambito della relazione educativa, nei contesti di lavoro, nelle classi. Si consolida anche nella opinione comune la convinzione che non esiste di fatto nella scuola italiana una cultura della valutazione che non sia autoreferenziale e dunque, inaffidabile. Inaffidabile soprattutto per le richieste del mercato del lavoro. Il "missmatch", il disallineamento, fra domanda e offerta di opportunità di lavoro viene considerato una responsabilità della scuola, causata dal vecchio impianto disciplinare e dalla sua debolezza nelle pratiche di valutazione. La riflessione proposta in questo testo intende sottolineare il forte legame fra questa impostazione e gli interessi del mondo economico-finanziario rivolti alla formazione dei soggetti, nel mantenimento di un ruolo egemonico nella attuale società della conoscenza. Una ripresa di protagonismo da parte degli insegnanti è ancora possibile. Occorre esplorare i retroterra ideologici alla base della valutazione cosiddetta oggettiva, standardizzata, orientata alla rilevazione delle "skills" funzionali al mercato, occorre ridare valore alle pratiche che quotidianamente gli insegnanti utilizzano come "feedback" del loro lavoro con gli alunni.