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Alle origini della Bhagavadgita, o Gita, come viene chiamata comunemente in India, vi è la guerra fratricida raccontata nel Mahabharata, che costrinse i discendenti dei Kaurava e dei Pandava a battersi nel campo di Kuruksetra. Il primo canto si apre infatti con Arjuna che prega Krsna di fermare il cocchio in mezzo ai due eserciti perché, scorgendo nelle schiere nemiche amici e parenti, è angosciato all'idea di colpire chi gli è caro. Ha così inizio un lungo e sofferto colloquio che affronta i nodi più importanti della vita di ogni uomo: l'agire e il non agire, il dovere, le passioni, il sacrificio e il non attaccamento che portano alla vera conoscenza e alla suprema pace dello spirito. Tutte le azioni tendono a mantenere l'uomo prigioniero del ciclo delle esistenze, nel mondo dell'illusione fenomenica. Soltanto quando sia mosso da un sentimento superiore, che trascenda quelli individuali, e non desideri il frutto della sua opera, soffocando ogni forma di identificazione egoica, egli potrà raggiungere la liberazione e vivere in armonia con l'universo. Testo fondamentale della tradizione induista e forse il più conosciuto in Occidente, la Gita è in realtà un libro universale a cui anche l'uomo contemporaneo - a qualunque cultura o religione appartenga - può fruttuosamente abbeverarsi.