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Le vicende narrate ne Le veglie di Neri, prima raccolta di novelle di Renato Fucini, traggono la loro origine dall'esperienza venatoria dell'autore. È nel corso delle sue battute di caccia - «di un cacciatore che va cogliendo con le starne di palude anche le storie degli uomini che quei luoghi abitano» - che lo scrittore incontra i propri personaggi, che poi tratteggia con la vivezza della pittura dei macchiaioli a lui contemporanei. Come nota Giovanni Tesio nella prefazione, i racconti di Fucini sono «bozzetti che accarezzano una fisionomia, una storia, e che anche quando toccano la tragedia (perché la tragedia c'è), finiscono per avvolgerla in un'aura sospensiva, allusiva, sempre sentimentale». Una lettura «raccomandabile», non solo perché offre un ritratto vivo della Toscana rurale di fine '800, ma anche perché «Le veglie di Neri - racconto dopo racconto - sono come un vino onesto: limpido di presenza, rubino di colore, forte di struttura, rotondo di corpo, e venato di sentori locali, indigeni, buono per accompagnare carni di selvaggina e adatto a rievocare un mondo che non c'è più, insieme con un autore che - pur allacciato alle sue disillusioni - ci convoca a riconoscere nella sua scrittura un valore di vita, uno spiraglio di luce, un frammento di decoro, di umana e letteraria dignità».