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"L'albero delle donne", attraverso un viaggio etnografico fra gli hadiya d'Etiopia, analizza gli stereotipi sui mangiatori di enset (enseteventricosum) e i luoghi comuni sulla passività delle donne, in questo caso coltivatrici della pianta e quindi doppiamente periferiche, frequentemente rappresentate secondo foschi scenari di segregazione e oppressione. Le memorie qui raccolte di levatrici, neospose chiuse nel silenzio, gravide affamate e puerpere in balia delle neonate contengono riflessioni sulla natura della gerarchia, fra sessi e fra donne, e sull'interdipendenza dei generi, che l'antropologa legge attraverso le cornici dell'istituzione matrimoniale, della divisione del lavoro, delle norme che regolano la sessualità. Nell'oscillazione fra protocolli ufficiali e pratiche considerate a vari livelli 'minori' ci si interroga sul valore di atti compiuti dietro le quinte come affermazione di resistenza se non di vero e proprio potere, e sulla condotta politica, spesso dissimulata, di soggetti solo apparentemente deboli o subordinati.