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Rifuggire il dolore o, peggio, rinnegarlo, equivale ad abiurare noi stessi. Il dolore, volente o nolente, è costitutivo del nostro essere e delle nostre esistenze. Alla luce di quest'affermazione, nessun deus ex machina è in grado di fare ciò che noi possiamo portare a compimento con la nostra forza di volontà: porci dinanzi a questa squisita sensazione che a volte ci tormenta, a volte ci sazia, con tronfia e superba volontà di accettazione, perdono e desiderio di convivenza. Un elogio del dolore, un'esortazione ad assaporarne lo squisito sapore e tentare di sublimarlo, un'occasione per tentare di connettersi con questa potente sensazione che rappresenta il leitmotiv dell'esistenza di tutti noi, nessuno escluso; e se c'è un modo per rendere squisito il dolore, il livore, il supplizio è quello di condividerlo, esternarlo e affrontarlo insieme. Un volo pindarico dentro un mondo interiore, fatto di sprazzi di gioia e interminabili momenti di dolore. Una prospettiva filantropica fra trascendenza e perdizione, in questo viaggio incredibile che è, precipitevolissimevolmente, la vita.