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Le definizioni del tema possono variare leggermente a seconda del testo esaminato, essere più o meno articolate, ma la sostanza non cambia. Il punto di vista è sempre quello dell'interprete (il giudice che si trova ad avere due norme applicabili ma reciprocamente inconciliabili); il terreno di analisi è sempre lo scontro tra due norme, la soluzione è sempre un obiettivo da conseguire attraverso l'uso dei criteri di risoluzione delle antinomie, il tasto dolente è sempre l'ipotesi di un'antinomia irresolubile. E se provassimo a cambiare l'angolo prospettico? E se al centro dell'analisi mettessimo non le due (o più) norme ma da un lato l'ordinamento, e dall'altro, la fattispecie concreta posta all'attenzione dell'interprete? Il quadro cambierebbe radicalmente: la questione di fondo diverrebbe quella di indagare in che modo l'ordinamento risponde all'esigenza di disciplinare la singola fattispecie. Le conseguenze di questo cambio prospettico non sono minimali: l'interprete non assumerebbe il ruolo di "risolutore" (che utilizza come strumenti i "criteri di risoluzione delle antinomie") ma di un "ricercatore" (che utilizza i "criteri d'individuazione della norma applicabile").