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"Mario Ramous era il poeta, il latinista, il saggista, il critico d'arte. Per me è sempre stato "solo" papà Mario. Lo sapevo nel suo studio, immerso tra i libri, avvolto dalla musica e dal fumo, ma non pensavo mai a lui come a "Mario Ramous, poeta". I miei ricordi di bambino vanno alle corse con le piste elettriche o alle discese sugli sci fatte insieme o a quando mi sfidava in incontri di fioretto (con le dita) e regolarmente mi batteva. Ricordo quando mi chiese - lui fermamente ateo - se volevo andare o no a catechismo e, al mio rifiuto, disse: «Bene. Da domani sera leggeremo un passo della Bibbia e lo commenteremo, perché è un libro fondamentale e bello, perché anche se tu non hai fede, ciò che contiene è estremamente significativo, perché milioni di persone hanno fede e ci credono, quindi è un libro importante. E bisogna leggerlo». Ricordo una vacanza in montagna: luglio, solo qualche giorno, una passeggiata infinita, parlando e ascoltando i nostri silenzi, le mie lamentele di ragazzetto, il caldo e la sete. Lui lo racconterà molto meglio in Michele, Michele. Nel viaggio di ritorno lo ricordo guidare, anzi domare, l'Alfa Romeo 2600 coupé, con il braccio sul finestrino e la sigaretta in bocca... e facevamo i 200 sull'autostrada deserta." (Dal ricordo di Michele Ramous)