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Quella di Celeste, ghost writer e attrice ad anni alterni, è una favola contemporanea sulla seconda verginità di chi rinasce e si risveglia, dopo dieci anni di convivenza, in un mondo che non ha più le regole che conosceva. Una rialfabetizzazione affettiva, sessuale e sociale. Il viaggio, a tratti tragicomico e surreale, di chi - nonostante un passato impossibile da seppellire, il tempo che avanza, l'inesistenza di un lavoro, le case a forma di loculo che costano come ville extralusso, i frequenti attacchi di panico sedati a colpi di corsa sul posto e gli uomini con nevrosi a carico - vorrebbe il suo lieto fine. Come ogni eroina che si rispetti o come ogni essere umano prima di andare a dormire o come Alice, ma senza meraviglie. Suoi compagni di viaggio sono Russotto, un pesce rosso traumatizzato che sguazza in acqua corretta al Lexotan e tre precari diversi per età, genere, provenienza e direzione. Con loro condivide un unico pavimento: il tetto di un palazzone romano dove un tempo svettava un attico che adesso si è frantumato in quattro miseri monolocali esposti al sole e alle intemperie dei nostri anni instabili.