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Venzi ci presentauno scenario dove nell'oscurità: "Nebbia, squallore, il battito d'ala di un predatore, uno sciame di bianche figure e rigidi spettri, il cielo incupito di una notte perpetua [...]" contribuiscono a formare anche il luogo della mente da cui si deve provare a interrogarsi, da cui si può lanciare il grido sommesso: "So di non essere solo". A cosa allude il poeta con questa frase? Potremmo chiedercelo. Alle presenze inquietanti che in modo allucinatorie immagina la sua mente, a qualcuno di reale che sta al suo fianco in quel momento, a qualcuno o qualcosa che in modo spirituale egli spera (comunque) lo assista, gli porga aiuto per superare la paura che egli stesso ha voluto creare in quella scena? Difficile a dirsi specie per un autore che si definisce non credente ma in cui, ad un attento lettore, non sfugge (ma forse è solo un'illusione) l'attenzione particolare riposta in quella "povera lanterna" con la quale il poeta cammina "oltre la Terra dove tramonta il sole". Prefazione di Cinzia Demi.