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La Bosnia non è un paese: è una condizione dell'anima. Vivere a Dublino da anni non basta a Sara, giovane traduttrice bosniaca, per recidere il legame con il suo paese. Non basterà Michael, i suoi dischi, una piantina di avocado. Una telefonata di Lejla sarà sufficiente a riportarla a Mostar, metterle su una macchina e viaggiare fino a Vienna per aiutare la sua amica a ritrovare Armin, il fratello scomparso. Sara e Lejla, due amiche per la pelle con un rapporto teso, di parole non dette, cresciute insieme in una città in guerra consapevoli di quanto stava accadendo e sempre unite da una certezza: Armin è vivo, da qualche parte, ma vivo. Un romanzo che è un viaggio nella memoria che si sfalda, attraverso un paese sprofondato nell'oscurità e nelle nebbie, spinto dall'impeto vivido e umano del voler conoscere la verità.
“Lejla. Il suo nome è apparentemente innocente. Una piantina minuscola in mezzo alla terra morta. L’Ho strappato dai polmoni, pensando che non fosse nulla. Lej-la. Ma con il suo rametto innocente è affiorata dal fango una radice lunga e profonda, una foresta intera, parole e frasi. Tutta una lingua sepolta in profondità dentro di me, una lingua che attendeva pazientemente quella piccola parola per allungare le sue estremità ossute e alzarsi come non avesse dormito mai. Lejla”. Un libro che non ti aspetti, che ti stupisce e ti accompagna in un road trip spazio-temporale. La protagonista, una bosniaca cristiana trapiantata a Dublino dove ha una vita più o meno regolare, viene trascinata nel suo passato da una telefonata della sua migliore amica di gioventù che non sente da 12 anni. Lejla appunto, alfa ed omega della narrazione, destinataria prima a cui la voce narrante si rivolge spesso direttamente. Nel giro di poche pagine si passa da Dublino a Zagabria e di qui ci si immerge nella terra della protagonista, una Bosnia che non è già solo luogo fisico, ma anche e soprattutto stato dell’animo. La guerra di un passato troppo recente, le divisioni, il razzismo e l’odio che sono tra le righe appena accennati, ma che pesano ancora come macigni, l’oscurità che pervade ogni cosa anche in pieno giorno, diventano elementi tangibili nel racconto poetico e intimo che Lana Bastaši? intesse magistralmente in queste pagine. La ricerca del fratello di Lejla scomparso in circostanze oscure molti anni prima, diventa dunque solo un pretesto per ricordare, per spolpare la memoria della narratrice, per restituirle una lingua che aveva ostinatamente sepolto in mezzo ad altre non sue, quell’idioma nativo che ha rifiutato e che pure è l’unico in grado di rendere a pieno il rapporto travagliato ed esclusivo di amicizia tra una cristiana e una bosgnacca; questa Lejla o Leja, dalla personalità accentratrice ed egocentrica, bella e ribelle, zingara e disturbante, è il contraltare fastidioso ed esagerato (eppure così terribilmente umano) non già solo della voce narrante, bensì di tutti i possibili stereotipi di femmina dell’universo mondo. Lejla, la bosgnacca, la musulmana, che con il suo sguardo nero ti osserva tra le righe del SUO romanzo, distaccata e sprezzante, e ti fa sentire la profondità degli abissi che dividono le diverse culture. Nello stesso tempo però, ti dimostra anche in modo altrettanto efficace e sfacciato, quanto sia facile e liberatorio fregarsene allegramente, quanto la sincerità e l’affetto di un’amicizia nata tra i banchi di scuola possa travalicare ogni sorta di umano conflitto o le stupide convenzioni dettate dai nuclei sociali di appartenenza. Questa autrice bosniaca, classe 1986, portata in Italia dall’ottima Nutrimenti Edizioni, è un’autentica rivelazione perché possiede la dote rara di sapere dipingere l’intimità e i sentimenti con pennellate nitide e precise e con un lessico ricercato, chirurgico, ma sempre accessibile. In “Afferra il coniglio” la Storia con la S maiuscola viene declinata nelle vicende personali di due bambine, poi adolescenti ed infine donne, deviandone il corso e modificandone il legame senza mai riuscire a spezzarlo, anzi rendendolo indissolubile. Una lettura profonda e impegnata, ma mai impegnativa, giacché la trama è avvolgente ed intrigante e incuriosisce il lettore con domande e riflessioni che lo accompagneranno anche dopo l’ultima pagina del romanzo.