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L'Everest custodisce da quasi ottant'anni il corpo di uno dei più singolari scalatori che cercarono invano di espugnarlo. Maurice Wilson, nato nel 1898 nello Yorkshire, eroe decorato della Grande Guerra, non era un alpinista. Eppure i suoi resti sono stati ritrovati a più di seimila metri d'altitudine sopra il livello del mare. Sull'Everest. Com'era arrivato fin lì quell'uomo di pianura, robusto e taciturno? Volando da Londra fino in India in solitaria, e seguendo rotte che nemmeno i grandi pionieri del volo avevano osato. Poi a piedi, verso il Tibet dei monasteri ventosi, sovrastato dalle creste maestose e implacabili dell'Himalaya. Wilson voleva scalare l'Everest, da solo, così come da solo aveva viaggiato, per provare che la fede poteva se non smuovere le montagne, almeno espugnarle. E arrivò molto lontano, prima di essere sconfitto dai ghiacci eterni, incommensurabili per l'uomo. Ce lo raccontano queste pagine, ripercorrendo il diario di Wilson, ritrovato assieme al suo corpo congelato nel 1935 da Eric Shipton. Per molti fu un suicidio a lungo meditato, per altri un estremo tentativo di dar ragione alla volontà del singolo, alla sua forza di persuasione. Tentare di raggiungere la vetta dell'Everest, nel 1933, era impresa mai provata prima da un uomo solo e ritenuta impossibile. Oggi, pochi alpinisti l'hanno portata a termine. Dimostrando che la sua idea non era il desiderio di un folle.