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Villa Farnesina contiene le composizioni profane più note di Raffaello: il "Trionfo di Galatea" e le "Storie di Amore e Psiche". Già dal Cinquecento, proprio in virtù della presenza di questi dipinti, la villa fu oggetto di un'assidua frequentazione da parte di appassionati d'arte e artisti, che li studiarono, citandoli o reinterpretandoli. Grazie alle testimonianze grafiche e pittoriche, alle descrizioni che ne fecero i viaggiatori, alla celebre relazione di Bellori sul restauro a opera di Carlo Maratta e alle polemiche che in seguito esso suscitò, è possibile monitorare lo stato conservativo di queste pitture nel tempo. A partire dalla metà dell'Ottocento, a seguito dell'avvento della fotografia, la documentazione iconografica di questi dipinti si intensifica e la mole di materiale rintracciata ha mostrato che, già nella fase pionieristica della fotografia a Roma, essi furono oggetto di ripetute riprese. In questo periodo fotografia e incisione entrano in competizione tra loro riguardo alla documentazione dei dipinti, soprattutto quelli murali, anche se, per molto tempo, l'incisione viene ancora preferita, in quanto più fedele nella restituzione dei rapporti tonali tra le varie campiture. In questi decenni, tuttavia, l'uso del mezzo fotografico si intreccia spesso indissolubilmente con l'incisione, costituendone di fatto un efficace complemento per la piena comprensione dell'opera tradotta. Nel caso della documentazione relativa alla Loggia di Amore e Psiche, il materiale dei fondi della Regia Calcografia, conservato presso l'Istituto centrale per la grafica, ha consentito inoltre di mettere a fuoco l'impiego di alcune delle prime serie fotografiche dedicate agli affreschi proprio come ausilio alla realizzazione di una serie incisoria di questi dipinti.