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Questo libro su Lotta continua racconta una «storia diversa». Per l'autore, infatti, quelle che la precedono esprimono storie «viziate», concentrate quasi esclusivamente sulle elaborazioni e le scelte politiche del gruppo dirigente, incapaci di dare conto di cosa fosse in concreto Lotta continua, di come agissero e si organizzassero «i senza nome» evocati nel titolo, ovvero i militanti di base che ne costituivano l'ossatura e ne garantivano la capacità di intervento. Al centro del libro sta la rivendicazione del ruolo di Lotta continua come principale organizzazione dell'area rivoluzionaria nella prima metà degli anni Settanta. Un'organizzazione che poteva vantare una presenza in tutti gli ambiti dello scontro sociale, dalle fabbriche alle scuole e ai quartieri proletari, dalle lotte sulla casa a quelle dei detenuti e dei militari di leva. È in questo contesto che l'autore inserisce le vicende del Servizio d'ordine legandole all'elaborazione teorica e politica della questione della «forza», intesa come il terreno su cui si giocava la possibilità, per i movimenti di classe, di esprimersi e di raggiungere i propri obiettivi. Per questo, l'autore rivolge una dura critica ai gruppi dirigenti nazionali e locali: ben prima della crisi sfociata nello scioglimento finale, essi avrebbero maturato l'intenzione di trasformare Lc in una formazione politica meno «militante» e più attenta agli equilibri politici generali, disposta al confronto «critico» con le forze democratiche riformiste e pronta a entrare a qualunque costo in parlamento, abbandonando così ogni prospettiva rivoluzionaria.