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All'inizio del mio saggio "Donald W. Winnicott, une nouvelle approche", sostenevo che fosse impossibile "definire" i concetti di Winnicott, si possono solo "raccontare". Essi hanno una vita propria e a volte possiamo solo seguirli facendo in modo che non ci sfuggano. La scrittura di questo secondo saggio ha rafforzato questa mia considerazione. Winnicott ha scritto durante tutta la sua vita. I suoi testi testimoniano una continua ricerca, nutrita da un'intensa clinica, dall'influenza del mondo circostante e dagli avvenimenti a cui è stato partecipe. Il caso dei bambini evacuati da Londra durante la Seconda Guerra Mondiale ne sono un esempio. Questo avvenimento lo ha portato a concettualizzare la tendenza antisociale e la deprivazione, due nozioni rivoluzionarie assolutamente essenziali per la comprensione di alcune patologie. Questo periodo inquieto gli ha permesso di elaborare molte delle sue idee principali sull'importanza della famiglia e su quello che potremmo definire il padre «paterno», padre che esercita una funzione altra rispetto alla semplice sostituzione della madre. Ma il suo modo di usare la lingua, la mescolanza d'inventiva e facilità/compromissione che lo caratterizzano, oscurano spesso l'originalità di ciò che egli si sforza di dimostrare. Nell'evoluzione della sua opera osserviamo una progressione verso un pensiero e una pratica sempre più personali. La sua elaborazione riguardo «l'uso dell'oggetto» rimane il culmine della sua ricerca e permette, retrospettivamente, di fare luce sul suo modo di procedere. Sarebbe azzardato affermare che, secondo Winnicott, la pratica preceda la teoria? Osservarlo lavorare offre sempre un grande insegnamento: egli faceva mostra di una presenza fortissima con i pazienti, sia adulti che bambini. Presenza che scaturiva dalla sua capacità propria al playing (giocando), sia nel gioco dello squiggle o nello spazio transizionale che instaurava con i suoi pazienti adulti. È l'idea che abbiamo sviluppato facendo, nel presente libro, un largo uso delle vignette cliniche di Winnicott. In effetti, quello che la sua elaborazione teorica non sempre chiarisce, la sua maniera di essere nello spazio di gioco della cura, lo fa sentire/vivere. «La mia opera ha assunto l'aspetto di un'isola», ha scritto. Le persone dovranno metterci del loro per arrivarci». Nel mio primo libro ho scritto che ci sarebbe stato bisogno d'impegno. Questa volta, ho invece tentato di costruire ponti, passerelle, anche fragili, che permetteranno spero, di accedere a questo pensiero ricco e complesso.