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"Freud e il caso Dora" trascina il lettore ad un confronto serrato e sistematico con alcuni dei temi nucleari della psicoanalisi, delle sue origini, del senso della storia della psicoanalisi e del suo intreccio con la teoria e la clinica. L'autore mette in luce una cosa evidente ma trascurata: il fatto che le parole, il linguaggio, i concetti usati da Freud nel caso clinico di Dora, ossia nella prova che doveva sancire il cambiamento di paradigma, sono esattamente gli stessi messi a punto nei dieci anni precedenti; lo dimostra nel dettaglio e l'effetto è sconcertante, perché adotta volutamente una strategia di lettura estraniante, che esalta la perfetta "leggibilità" del caso in base alla precedente ermeneutica, mettendola in contrasto con le diverse conclusioni via via tratte da Freud, in base al secondo paradigma, quello della pulsione sessuale. Partendo da questo presupposto l'autore disambigua sistematicamente il discorso che Freud fa su Dora e quel linguaggio di violazione, effrazione e deflorazione, che è l'archivio del trauma da cui si genera il discorso psicoanalitico. Vi sono cose che non riescono ad essere archiviate. Il trauma è l'archivio delle cose non archiviate.