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L'indagine di Cecilia Rivoli riguarda la "canzone collettiva" - né solo "politica", né solo "di protesta", "popolare" o "impegnata" - quella cioè capace di descrivere l'Italia più problematica, inquieta, in/sofferente, combattiva, fuori da rassicuranti cliché. Lo fa a partire da due grandi esperienze del 1958 e del 1963, "Cantacronache" e "Nuovo Canzoniere Italiano": questi primi "politici con la chitarra" inserirono nei loro testi il paese di allora, operaio, contadino, emigrato, in contrapposizione netta con la tradizione romantica e melodrammatica in voga. C'è qualcuno, negli anni Duemila, che sta scrivendo canzoni che tra cinquant'anni potranno raccontare l'Italia di oggi? Scandagliando il panorama indipendente, analizzando i brani del presente - lingua, metrica, arrangiamenti, scelte discografiche, copertine, video musicali, interviste - l'autrice si concentra su quattro realtà: I Ministri, The Zen Circus, Alessandro Mannarino e Modena City Ramblers. Per approdare alla conclusione che, nonostante l'ideologia collettiva si sia esaurita, esiste ancora oggi un modo diverso di proporre un'idea di collettività attraverso la canzone: che è personale e non più universale, verticale e non più orizzontale.