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Donato alla Biblioteca Roncioniana di Prato verso la seconda metà dell'Ottocento, il manoscritto roncioniano Q.III.12 (n. 65), contiene l'Inferno di Dante Alighieri, da I 1 a XXXIII 153. Il testimone dantesco appare trascritto da due mani: una prima, ?, in lettera bastarda su base cancelleresca, a cavallo fra i secc. XIV/ XV, aveva originariamente copiata l'intera cantica in colonna unica di 12-13 terzine per pagina; a seguito della perdita di alcuni fogli una seconda mano, ?, integra le cc. 1, 13 e 14 trascrivendo in corsiva all'antica databile alla metà del XV secolo il testo dantesco mancante. Le chiose sono opera di altre due mani: una prima, a, che trascrive le rubriche latine (di tipo b, cioè breve) al margine di alcuni canti, nonché altre brevi e sporadiche chiose marginali latine, e una seconda, b, già identificata con quella di Bartolomeo di Pietro Taviani de' Nerucci da San Gimignano, che aveva originariamente trascritto un organico complesso di chiose marginali in volgare ai primi 7 canti dell'Inferno, delle quali sopravvivono oggi solo quelle ai canti III-VII (cc.2r-8v). Le chiose risultano trascritte a partire da due soli commenti cogniti: quello di Graziolo Bambaglioli (nel volgarizzamento A), e l'altro, parimenti in volgare, conosciuto come Falso Boccaccio.