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Da Musil a Borges, la grande letteratura del Novecento è stata attraversata dalla malattia dell'infinito, dallo struggimento per una universalità irraggiungibile. La stessa filosofia ha certificato quella impossibilità indicando mille altri percorsi. Pochissimi hanno però avuto l'ingenuo acume di abbandonare le strade più frequentate e di saggiare i sentieri solitari che potessero condurre a quella Armonia tanto agognata. Antioco Zucca (Villaurbana 1870-1960) è stato fra quei pochissimi. Animato da vivaci interessi culturali, interlocutore di intellettuali di grande richiamo fra i quali ben tre premi Nobel, collaboratore d'importanti riviste internazionali, Zucca fu poeta, polemista, saggista e giornalista. Convinto con Spinoza che "l'amore per l'eterno e l'infinito ricolma l'animo di pura letizia, rendendolo immune da ogni tristezza", il pensatore sardo compose un mosaico filosofico-letterario attentamente concepito nell'arco dell'intera sua vita. Lo studio di Sergio Sotgiu sottrae Zucca al cono d'ombra in cui è stato a lungo abbandonato e ne restituisce un'immagine fresca e nuova, in cui vengono illuminati umori e affinità, da Leopardi ad Ardigò, da Bruno a Borges.