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L'operosità di Carla Accardi si dissemina in cento rivoli, condotta dall'olio o dalla tempera, dalla vernice, dal vinilico o dalla caseina sulla tela, sul sicofoil, sul perspex, sul legno, mentre il colore-trapunto dalla luce che attraversa il telaio lasciato in vista e il foglio sottile del supporto lasciato in tensione su di esso si deposita in segni che ingigantiscono, si sdoppiano, si depositano in elementi che s'uniscono in serie, disponendosi sulla parete a comporre figure talvolta geometriche, talvolta irregolari e inquiete. Accardi saggia ogni strada possibile per l'estrinsecazione di quel colore che ne sollecita ancora e sempre primariamente l'immagine: "forse per togliere al quadro il suo valore di totem", dirà. E certo la sua conflittuale volontà di voler restare entro la pittura e di travalicarne i confini statuiti ne fa un'artista autentica e rara dei nostri anni.