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Giancarla Melecci tenta un singolare esperimento poetico e suddivide la sua silloge in due parti distinte: nella prima "La ribelle che è in me" raccoglie liriche e versi scritti in piena età adolescenziale, nella seconda, "La ribelle matura che è in me", invece, esplora la maturità e la piena consapevolezza di ciò che è il suo vissuto. L'originalità sta nel fatto che, l'età della ribelle giovanile non è l'età che sta vivendo una qualsiasi ragazza adolescente, ma un'età che ha già alle spalle una vita vissuta di dolore e di esperienze atroci. Pertanto, la poetessa si osserva e si ritrova in un mondo che non le appartiene, in un mondo che non capisce, dove vuole mettere alla prova tutti quelli che la circondano, vuole capire quanto gli altri siano veramente sinceri con lei, quanto le vogliono bene. Ha paura di essere nuovamente abbandonata, ha il terrore di ritrovarsi nuovamente da sola a combattere contro gli spiriti malvagi e i fantasmi che l'hanno terrorizzata. Fino all'oggi, quando i dolori assumono una dimensione diversa, altra, dolori che si ripropongono nella perdita di qualcuno tanto amato, nel chiedersi perché sapendo già la risposta ai numerosi quesiti. Conferme di ciò che non si può più cambiare, ma solo accettare con l'amaro nel cuore.