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La storia, temporalmente sviluppata nell'arco di poche giornate, prende il via dalle improvvise dimissioni del ventisettenne Giulio che decide di affrancarsi da una buona situazione lavorativa vittima di una subdola e astuta malattia interiore: il vuoto nichilistico. Riflessioni esistenziali, rapporti interpersonali essenzialmente giocati sul filo di una sottile ironia, scelte impulsive e azioni apparentemente sconsiderate, questa la cornice entro cui si muove il protagonista sempre sull'orlo dell'oscuro baratro della depressione. Pronto a spiccare il volo ma ancorato a una disperata quanto euforica insoddisfazione. Tutto perde di significato per Giulio, e tutto acquista intensamente significato nei piaceri più semplici e immediati, in quelli che definisce brevi eccezionali incantesimi multisensoriali. Giulio si sente un urlo dilaniato che raschia le tonsille e non esprime alcunché, un gatto addomesticato, intontito e castrato sul comodo divano dei genitori. Distante in una indifferente apatia, alla smaniosa ricerca dell'oblio, dello stordimento beato dei sensi in week-end evasivi senza fine, fino a quando, nelle viscere inquiete di Giulio nasce e si sviluppa un feroce senso di rabbia, come un coltello dalla lama lunga e affilata conficcato in profondità attraverso lo sterno negli strati ultimi essenziali della sua anima nuda, che riesce finalmente a liberare il grido, l'urlo inespresso.