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Il volume indaga come sulle scene europee, a partire dalla fine del XIX secolo, la scelta delle opere da rappresentare si indirizzi volentieri verso testi giudicati "impossibili", irrappresentabili secondo le convenzioni drammatiche abituali. Diversi autori, d'altra parte, tendono a concepire testi drammatici difficilmente rappresentabili secondo i canoni tradizionali. Prototipo emblematico era stato il "Faust" di Goethe, del quale solo la prima parte veniva rappresentata nell'Ottocento e che per intero è stato messo in scena solo a partire dal secondo Novecento e da un regista come Peter Stein. Il volume analizza le ragioni e le prospettive di tali esperienze drammatiche e sceniche, dagli ultimi decenni del XIX secolo agli albori del XXI, con esempi anche nell'ambito del teatro musicale, e alla luce degli sconfinamenti con generi narrativi, arti figurative e coreutiche. Il risultato è stato quello di forzare i limiti della scena e rendere il linguaggio teatrale uno strumento duttile e flessibile.