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I centoventi quadri che compongono il prezioso volumetto sono confessioni del ladrocinio all'io. Un io minimale e affatto conciliante, smarcato dal fragore sordo e privato della propria mitomania, che si impone senza prostrazione sulla struttura del reale. In quello sguardo reclinato verso il disastro Pizzi concede al circostante di apparire in tutta la sua rapinosa nevrosi.