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"A volte mi sembra di toccarla la vita, attraverso l'analisi dell'otturatore che mi permette di intravederne il senso. Poi sposto la fotocamera, diniego il mirino, spengo l'accensione, quindi il suo momento vitale. E la vita finisce la sua bellezza proprio in quel momento in cui pensavo di aver visto tutto, e poi di colpo più niente. In questa mia visione, la macchina fotografica assume le sembianze di una protesi di un arto amputato che non c'è più; protesi che talune volte non mi serve, anzi mi disturba, tanto che la uso solo quando voglio. Spesso lascio la macchina fotografica di proposito a casa, appoggiata su un ripiano qualsiasi, con la ricarica elettrica volontariamente a secco. Poi sembra che stia lì a chiamarmi, a chiedermi spazio, uno sprazzo di luce o di ombra. E così ci incontriamo. Io e lei, andando nel resto del mondo".