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"Dalla penombra dell'abside, sullo sfondo di un coro nerastro, emerge al mio sguardo il crocifisso. Per un attimo, tutto mi si offusca; poi è di nuovo, definitivamente, chiaro. Al posto del Cristo, diffuso, a modo suo, lungo i quattro bracci della croce, sta inchiodato un serpente. Mi sembrava, e mi sembra tuttora, che la narrativa di stampo tradizionale, il racconto che va da A a B, ponendosi come exemplum di una visione del mondo e dell'uomo, ponesse uno schermo tra chi scrive e chi legge. A un certo punto, magari per colpa o grazie a certe letture particolarmente cattive, ho sentito che respingevo questo elemento intermedio. Per carità, non voglio tirare una riga su millenni di grande letteratura. Io amo la tradizione, l'antichità, e da essa provengo, anche come scrittore e saggista. E tuttavia sono un moderno. Non posso esprimermi con gli strumenti, i concetti, le immagini di chi è già morto. Devo essere al passo coi tempi." Con quest'opera Davide Ghezzo cerca di superare la forma classica per approdare ad altro. Certo, esiste una struttura portante, dal ricco simbolismo, che è però soprattutto occasione per riflessioni tra l'autobiografico e il critico.