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Vecchia cacciatora, vecchie esperienze di caccia a cui si è affezionati, quelle che si portano sempre dietro come gli abiti sdruciti, come gli attimi migliori da cui non separarsi mai. Riecco allora un frutto di quelli che solo Annibale Bocchiola sa donarci. Frutto che è vento denso di padule e aria tersa di montagna, caccia come inguaribile malattia, vita vissuta nello spazio infinito della natura. Ed ecco, ancora, dopo le passioni virulente della gioventù, scoppiare quella della poesia, che pare, poi, esser fatta della stessa materia di cui è fatta la caccia. Ecco affiorare il ricordo del primo cane e di un vecchio gallo, di una beccaccia dalle ali d'autunno, di un improvviso volo di coturnici. Ecco che coppia di germani, un giorno di apertura sulle Alpi, il salto della lepre, le figure familiari, una lunga camminata, la notte e la nebbia, gli alberi e le rocce che si confondono nel senso di una fremente attesa. Frammenti di malinconia che Bocchiola ricompone con incastri di parole e di emozioni, con i colori del bosco e di avventure indimenticabili.