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Dante intraprende il proprio cammino servendosi della ragione. A un certo punto si avvede che, perché la sua esperienza sia completa, la ragione non basta più: deve utilizzare l'emozione, la conoscenza immediata. Pertanto, diversamente da quanto avveniva nell'abisso infernale, dove si era sottomesso obbediente alle norme razionali, nella seconda tappa del suo viaggio interiore (la scalata alla montagna purgatoriale) scopre tutta la sua debolezza di uomo di fronte all'inesplicabilità del vero essere: non sono più le rivendicazioni pulsionali, ma è la sfera della consapevolezza, l'Io cioè, a dettare i tempi. E allora, per permettere ad ambedue, impulsi e ideali, di concorrere insieme al raggiungimento del suo scopo ultimo, la conoscenza di sé, fa ricorso alla introspezione, alla contemplazione, processi mentali che noi, uomini moderni, abbiamo abbandonato da tempo.