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Si può parlare di Gesù partendo dall'alto dei titoli onorifici ("figlio di Davide", "messia", "signore", "figlio di Dio") oppure dal basso di quelli comuni ("figlio di Maria", "figlio di Giuseppe", "carpentiere", "figlio del carpentiere", "figlio dell'uomo"). Tutte presenti nelle fonti evangeliche, ma alcune designazioni sono ribadite, altre sottaciute, se non proprio dimenticate. La predicazione cristiana, infatti, è elogiativa. Il posto riservato a Gesù è su un trono o un altare. È disceso in questo mondo ma non si è trovato a condividere il limite, la debolezza, meno ancora la fallibilità. È vissuto con tutti, ma non era come gli altri. Nato in una stalla ma non mandriano. Poverissimo fino a non avere nemmeno una culla dove giacere e, da grande, un luogo dove posare il capo, ma in fasce stringe in pugno lo scettro di tutti i regni della terra. Finito sulla croce ma da "re" più che da "malfattore". Queste pagine, rovesciando coraggiosamente l'approccio, invitano a incontrare in Gesù un uomo che, senza il vantaggio di posizioni privilegiate, soffre il prezzo delle sue convinzioni, fatica per tenere fede ai suoi ideali, vive l'intima lotta tra la chiamata dello Spirito e le voci della vanità e dell'orgoglio. Gesù, senza questa dimensione viva, diventa astratto, freddo. E poi, se ha goduto della chiaroveggenza e potenza di un Dio, mentre i comuni uomini si trovano costantemente intralciati da carenze e difetti creaturali, che senso ha invitare all'imitazione di Cristo?