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Il libro propone una lettura parallela di due grandi questioni della storia della Chiesa alto medievale: il discorso contro gli spettacoli (II-V sec.) e la querelle tra iconoclasti e iconofili (VII-IX sec). L'intento è comprendere se al fondo delle singole argomentazioni esista una struttura di pensiero comune e condivisa, e se questa struttura possa essere intesa come una compiuta e articolata "teoria cristiana della rappresentazione". In che modo la condanna di ogni forma di spettacolo può coesistere con la strenua difesa delle icone e del loro culto? Per quali ragioni i Padri della Chiesa vietano gli idoli, ma esortano l'uomo a essere attore della propria vita? L'analisi dei concetti di dramma e di immagine, condotta sulle fonti patristiche, dimostra che l'idea cristiana di rappresentazione è segnata da un'incolmabile distanza rispetto al pensiero greco-ellenistico. Spettacolo e dramma, spettatore e sguardo, attore e azione assumono un nuovo significato; immagine, icona, relazione e somiglianza, vedere e rappresentare sono termini che rimandano a nuovi presupposti epistemologici. Fondato sul paradosso dell'incarnazione che unisce l'invisibile al visibile, il pensiero cristiano comporta una vera e propria rivoluzione della visio e dell'actio. Una rivoluzione teorica decisiva per comprendere il vasto capitolo del "teatro cristiano", fiorito nell'Europa medievale a partire dal X secolo.