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Il podere comincia laddove "Ricordi di un impiegato" - soprattutto nella loro primissima redazione, in cui chi è ammalato e presumibilmente morirà è il padre del protagonista - finiscono. Ma alla puntualità di una prosecuzione cronologico-biografica rispecchiata dalla scrittura, giunta alla prova dirimente della scomparsa del padre e al tema ereditario ad essa connesso, fa in realtà riscontro il senza-tempo di una storia segreta, protratta da sempre, radicata nel "profondo": un rapporto - quello tra padre e figlio esistenzialmente fondante, che è il tema privilegiato e ineludibile attorno al quale ruota l'intera opera di Tozzi, modernamente tesa a coglierne le più sensibili articolazioni ed implicazioni. Dominano così nel "Podere", in una narrazione che è tutt'altro che il naturalistico evolversi di vicende legate a contrastate eredità e minacciati diritti, le imprevedibilità soggioganti dei "misteriosi atti nostri": quegli atti legati a insindacabili pulsioni inconsce che altrove Tozzi definisce, sostenuto da un'ampia cultura psicologica pervenuta persino a informazioni di tipo freudiano, "movimenti determinati da cause ignote".