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Per Antonio Delfini, il mondo rimane fuori dalla propria portata, inattingibile. La parola è un pretesto per fugare il dolore di questa inattingibilità. Giacché si fa più forte, a ogni tentativo fallito, la consapevolezza di questa frustrazione, rimane lo sberleffo come blasfema consolazione per ogni gesto seducente andato a vuoto, fuori bersaglio. Se si tratta di uno sberleffo è perché Delfini si muove sul crinale impervio e rischioso di un'estraneità alla vita che non si sublima nella letteratura, giacché la letteratura non merita di essere presa sul serio sino a tal punto. Questo, che è il nodo cruciale della poetica delfiniana, ha prodotto la leggenda del suo dilettantismo, quella nonchalance propalata dall'amato-odiato entourage, o forse l'understatement proiettato dallo stesso autore come uno schermo protettivo, una lente palazzeschianamente posta davanti al proprio cuore, per nascondere però e non per mostrare.