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Nell'articolata fenomenologia della crisi che polarizza il dibattito contemporaneo, la riflessione etico-politica apre due ulteriori fronti problematici: da una parte, la tensione tra potere e politica, forse causa più che conseguenza del clima dominante di sfiducia; dall'altra, quella tra volontà e vulnerabilità, in cui si radicalizza un rigetto diffuso del limite. Il libro intende misurarsi con questo orizzonte complesso, che richiede un ripensamento del rapporto tra potere e politica, esplorato nella sua imprescindibile pertinenza etico-antropologica. Se il potere non si riduce a scomodo protagonista del "lavoro sporco" della politica, ma è primariamente connessione tra un agire e un patire, occorre mettersi alla ricerca di un ordine della convivenza che non trascuri la vulnerabilità, che non ceda alla mera potenza, che riscopra nella fragilità la propria radice: non più un potere che chiede più potere, ma un potere che, tra prossimità e distanza, impara a cedere potere per essere davvero generativo.