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Una lotta contro il tempo che passa. C'è l'ostinazione di una resistenza nel racconto che Franco Venanti svolge da un decennio all'altro della sua vita, stavolta approdando agli anni Sessanta. Il tempo lavora a erodere la memoria e ad allontanare ciò che è accaduto in una prospettiva sempre più stretta fino a farlo svanire, la penna, invece, fissa, conserva, sottrae all'oblio e consegna a futura memoria. Si scrive anche per questo, soprattutto quando si scrive di sé e di quello che si è vissuto. Venanti si schernisce, non sono uno scrittore, ma non è questione di patenti o titoli - e poi chi li dovrebbe consegnare? sicuramente non le Accademie depositarie dei presunti diplomi... - conta il bisogno di scrivere, la necessità che si avverte di affidare alla pagina qualcosa che ti appartiene e condividerla con gli altri. Certo, è un gesto che può nascondere una presunzione, il rischio di una esibizione esotica, ma non è la scrittura sempre - anche quando non sembra - uno specchio in cui si cerca di fissare un riflesso di quello che si è? Il profilo di un identikit che si accumula un tratto dopo l'altro fino a comporre una qualche fisionomia in cui riconoscersi?