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Una superficie vibrante nella luce chiude le figure, come un involucro teso a disegnare il confine tra il visibile e ciò che non ci è dato sapere. Ce l'hanno tutti, quella vibrazione: oggetti, corpi, volti, alberi, case, piroscafi. Ce l'hanno le mani che custodiscono piccoli scrigni segreti. Ce l'hanno i muri, le porte, le finestre, i tetti arrossati. Le guance arrotondate, le palpebre, le labbra. Ce l'hanno le pere inclinate o addentate, le tovaglie dispiegate con cura, le gambe delle sedie. Le cime degli alberi e le punte dei campanili. Le prue delle navi e il fumo dei camini. I soggetti della pittura di Brandes sono una manciata di temi ricorrenti e ripetuti, che sondano i generi tradizionali, entrano negli archivi della tradizione, quei silenziosi cassetti della memoria dove lui stesso li classifica con cura, spostandoli sempre in una sospensione atemporale, in un tempo-luogo indifferente a ogni variabile. (Dal testo "Il teorema del silenzio. Un percorso nella pittura di Matthias Brandes di Valeria Tassinari")