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Orsola ha trentaquattro anni, due figli piccoli, una bella casa ai Parioli, un lavoro part-time per stare dietro alla famiglia, un grosso cane e una vita apparentemente perfetta. Nonostante una ferrea educazione femminista e comunista, la sua realizzazione maggiore è essere madre, lo ha sognato sin da quando era bambina e le sono piaciute talmente tanto le sue due gravidanze precedenti da aver convinto il marito a lanciarsi in una terza. Solo che, alla prima ecografia dopo le fatidiche dodici settimane, qualcosa si spezza: la traslucenza nucale del feto mette in rilievo una forte anomalia, tanto grave da dare come possibili esiti un aborto nei mesi successivi o una morte dopo la nascita. Quello di Orsola, se mai dovesse nascere, non sarà mai un bambino con una vita normale. Da questo momento per lei e il marito Marco inizia il calvario di chi in Italia sia costretto o voglia abortire, tra obiettori di coscienza, strutture inadatte, la mancanza totale di supporto e informazioni. In un paese in cui abortire è ancora una colpa che neanche il privilegio può lavare, Orsola affronta il lutto della propria imminente perdita ricordando il padre, morto da poco, medico calabrese comunista eccentrico e solidale, la cui mancanza nelle dolorose settimane di avvicinamento all'aborto è ancora più evidente. Il consólo - ovvero l'offerta di cibo alla famiglia del defunto - è qui sia quello della famiglia calabrese dopo il funerale del padre, sia quello di chi attraverso la scrittura cerca di rimettere insieme i pezzi di una vita che si è smontata e su cui pesa lo stigma di una società cattolica e giudicante. Una storia vera, una denuncia potentissima a sanità e società italiana, che condannano le donne a rimanere sole di fronte a una scelta, comunque, dolorosa e irreversibile.