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"Quando arrivava il crepuscolo andavamo in spiaggia con le macchine fotografìche e le regolavamo per cogliere il momento in cui il sole s'inabissava." Non succede molto all'Istituto Gorki, una casa di riposo per intellettuali e artisti della tarda Unione Sovietica sospesa sulle propaggini abbacinanti del Mar Baltico. Capita che i più giovani, al riparo dal mondo tra quelle mura desolate, non riescano neanche a immortalare sulla pellicola il passaggio fulmineo di luce e ombra al tramonto. La paralisi del sistema, come forma di controllo del regime, ha fatto calare su di loro una nebbia fìtta e spessa. Pallidi e smagriti, gli scrittori ciondolano nei corridoi del pensionato sostenendo la ragione di stato, ma declamano al chiuso delle loro stanze versi che non scriveranno mai; coltivano, risentiti e rancorosi, manie di grandezza personali ma scoraggiano gli altri dall'azione, dal libero pensiero e dall'amore vero. Conformisti e ipocriti per necessità, gli artisti conducono giornate letargiche in epoca di piena Guerra Fredda, aspettando il momento del riscatto. Eppure, quando l'occasione si presenta - Boris Pasternak vince il Premio Nobel con "Il dottar Zivago", romanzo inviso al regime e proibito in patria - è soltanto la loro pochezza morale ad avere la meglio, l'unica a trionfare su valori, ideali e responsabilità.