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"Viottola" è un nome dal suono abbastanza rotondo, che non troppo si addice all'asperità e alle fatiche della lingua, molle e dura a seconda delle situazioni e del suo porsi o proporsi come intenzione o semplicemente come capacità d'espressione, come via di fuga. È nelle "Viottole fiorentine" di Enrico Taddei che si verifica uno sperimentalismo emotivo: una molteplicità di echi, da Cavalcanti a Pascoli, a quella tradizionale lirica che conosce bene i modi e i tempi dell'invettiva e dell'elegia. La lingua delle "viottole" è una lingua accesa, ma i suoi caratteri non filtrano dall'esterno, sono stratificati nei luoghi dell'io, di questo centro-coarcevo da cui il soggetto della poesia tenta di liberarsi, in maniera più o meno disperata, dividendo il dentro dal fuori in due sezioni ben distinte, e affidando le sue intenzioni ad una sorta di proemio, come ad una confessione dove le muse risultano altamente inquietanti.