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Luogo di immagini e immagine di altri luoghi, la Patagonia mantiene inalterata nei secoli la forza del suo mito. Se fino al Settecento la curiosità dei viaggiatori ha cercato il paradiso terrestre in queste remote terre australi, nel Novecento la Patagonia è divenuta una scena dell'atemporalità, un fondale immobile e arcaico in cui il racconto postmoderno di Bruce Chatwin e dei suoi epigoni trascrive un'erranza all'estremità del mondo. In questa terra, ci dice dunque l'autore, si può compiere soltanto un viaggio a ritroso nel tempo. La Patagonia irrompe infatti nella cultura e nell'immaginario europei come uno spazio estremo, una frontiera assoluta. Dal periplo di Magellano fino al Settecento, sarà oggetto di una continua invenzione: qui convergono motivi letterari e repertori simbolici, gli spazi australi creano l'illusione ottica del gigantismo dei suoi abitanti. Su questa regione incognita si proiettano i sogni di una città fantastica, il mito dell'Eldorado, e si costruisce un utopico "mondo alla rovescia". Nell'Ottocento i resoconti di naturalisti come Charles Darwin incorporano la Patagonia nella mappa del nuovo sapere scientifico. Più tardi, conquistato dalle campagne militari, diviene territorio dell'Argentina. Depurato dalla presenza dei "selvaggi", il "deserto" patagonico si trasforma in paesaggio di una nazione in marcia verso il progresso quando scienza e dominio della geografia declassano i popoli autoctoni a mero reperto museale condannato all'estinzione.