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Inquietanti e scomode, sospese, sempre in bilico tra il dramma e la commedia, il cinismo e l'ironia, le sette storie di Berta Marsé immortalano quel punto di non ritorno che segna la vita dei personaggi, e irrimediabilmente li inchioda. Esistenze normali, persino banali, che tutto a un tratto si ritrovano sovvertite, rovesciate da un dettaglio, da un episodio imprevisto e all'apparenza insignificante: il disegno di un bambino, una parrucca di scena, una telefonata misteriosa, una parola detta non volendo. Sono crepe che senza preavviso si trasformano in voragini che tutto risucchiano. Piccole fessure, impercettibili incrinature da cui, inattese, fanno capolino le ansie che ognuno si porta dentro. Teatro di queste scene, sullo sfondo di una Barcellona inquieta e solare, è spesso la famiglia, quel nucleo all'apparenza rassicurante nel quale si insinuano inascoltati piccoli sussulti, scricchiolii, sentori fugaci; voci e mormorii che aggrediscono alle spalle i personaggi e li chiudono nell'angolo. I racconti scorrono con ritmo almodovariano, trascinati dalla piena dei dialoghi serrati, dello humour più spassoso, del realismo più disarmante. Stringono il lettore tra sorriso e sorpresa. Lo schiacciano tra incertezza e stupore. Lo tengono sotto scacco.