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La fondazione del Partito democratico ha avuto come ambizione dichiarata quella di imprimere una svolta alla stagnazione dell'ultimo decennio e soprattutto di scardinare l'impianto dei partiti su cui si è costruita l'azione politica di oltre mezzo secolo. Ma a riprova del rinnovato contesto in cui tale fondazione ha luogo, è la circostanza che ad accompagnarla non è un bagaglio di presupposti ideologici e di aspirazioni rivolte al futuro, quanto una attenzione alla concretezza delle soluzioni politiche per il presente. Tra le sfide che il neocostituito Partito democratico si trova a dover affrontare, quella di gran lunga più impegnativa e strategica riguarda le scelte in materia di politica economica, perché l'Italia deve ritornare a crescere. È decisivo a tal fine liberare i mercati e riqualificare l'intervento pubblico: per produrre ricchezza, promuovere opportunità e garantire coesione sociale. E si tratta di farlo in un contesto come quello italiano, condizionato dal macigno di un enorme debito pubblico e dalle mille rendite che tendono a rallentare la velocità della crescita. Alcuni tra i più importanti economisti e politici che aderiscono o ruotano attorno al nuovo partito si interrogano sui nodi cruciali dell'economia italiana. Quale l'agenda di una politica economica del Partito democratico? Quali politiche per uno sviluppo sostenibile? Quali riforme strutturali? Quali politiche industriali e fiscali?