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«Non è insensato dire che la lingua che chi scrive ha in uso, è frutto di decisioni e mutazioni, ancor più quando si parla di poesia che nella sua apparente invisibilità conserva invece tracce di molte delle sue origini», scrive Fabiano Alborghetti nella sua prefazione. «È questo territorio composto da substrati che questa serie di interviste porta a scoprire, non soltanto la "bottega" del poeta, la genesi di uno specifico testo o di una raccolta, i processi di politura o i ripensamenti, bensì quel territorio riformato che viene consciamente - o meno - abitato e che vede il suo appoggio terreno in quell'atto finale di sintesi che è appunto lo scrivere.» La scrittura come varco, come via d'accesso, ogni volta nuova, a un universo poetico in cui s'incrociano cammini che seguono direzioni talvolta sorprendenti, talvolta più familiari, ma che tutti conducono in questo altrove che in realtà è tale solo per chi non vi si addentra.