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Come un "Decaptetyl", farmaco prescritto per dragare un tessuto neoplastico nel tentativo di deprivarlo dell'aggressività malsana, distruggendo nel farlo anche ogni efficienza delle gonadi all'ancora vitale malcapitato, con questo titolo parafrasato da un emistichio oraziano Carlo Villa analizza con sarcasmo definitorio l'attualità che ci opprime fino alla cronaca più spicciola. Tra i destinatari, tra gli altri Merkel, Macron, Trump, Renzi, Moro, l'iris; ma anche con la Rosselli, la Moreau, Sanremo, Fazio-Vespa, fino alla scomparsa del nostro pianeta e dello stesso autore, avvalendosi di testi godibilissimi, secondo l'assunto di Goethe, per il quale la poesia converte i soggetti che tratta in capziosi anacronismi selettivi. Gli affondi espressivi di Carlo Villa sono carichi di percorsi alla Renard, Daumal, Jarry, fino al Gadda più delirante: scrittori che gli sono stati compagni di penna fin dagli anni Cinquanta del secolo scorso: quelli del suo esordio, avallato da Sinisgalli, Pasolini, Vittorini, Butor e Calvino, che lo volle all'Einaudi per sette titoli, dove nel '64 inaugurò la Bianca di poesia. Il laboratorio di Villa d'una feroce igiene civile, utilizza un linguaggio instancabile nel raccogliere i pezzi dispersi d'un mondo in disfacimento, ritessendolo in cromatici patchwork con una scrittura imprevedibile condotta sempre dal di dentro d'un assunto riordinativo